Mio padre si chiama Alem Woldezghi, ed è arrivato in Italia nel luglio del 1972, con lo status di rifugiato politico. E’ nato nel 1949 ad Addi Techelesan (Asmara) in Eritrea.

In quegli anni era studente universitario ma era anche impegnato politicamente. Infatti era un militante dell’Eplf – Fronte di liberazione popolare dell’Eritrea – il movimento politico impegnato nella lotta di liberazione dell’Eritrea dall’occupazione etiopica, che è durata fino al 1993, anno dell’indipendenza.

Lui ottenne lo status di rifugiato politico in quanto la polizia etiopica lo cercava, era considerato un obiettivo politico.

Alem iniziò la sua esperienza italiana nel campo profughi di Castelnuovo di Farfa, in provincia di Rieti. Il campo si trovava in Sabina, a pochi chilometri dall’Abbazia di Farfa, inaugurato nel giugno 1943, fu attivo fino all’armistizio come campo di concentramento. Da lì passarono 2.700 prigionieri fascisti, ma l’8 settembre il personale di guardia abbandonò il campo e fu lasciato chiuso per alcuni anni. Dopo la guerra venne trasformato in campo profughi, fino agli anni ‘80 da quel campo passavano cittadini di ogni dove che fuggivano per motivi politici da guerre e dittature.

Mio padre arriva a Reggio Emilia dopo qualche mese nel campo, sabato 10 novembre del 1973 su “L’Unità” esce un articolo “Esule eritreo denuncia il Ministero degli interni per la tbc contratta nel campo di Farfa”, Alem vuole migliorare le condizioni del campo perché da lì passano molti richiedenti asilo e tramite questa azione vuole denunciare la situazione igienica e sanitaria. In quegli anni Alem era il primo rifugiato politico ospitato a Reggio Emilia e ricorda anche quando Giuseppe Soncini – creatore di ponti dell’amicizia con l’Africa – lo accompagnò a Roma per far vedere alle autorità italiane che Reggio voleva poter continuare ad ospitare Alem.

Dall’Eritrea – paese in guerra – in quegli anni furono molti a trovare rifugio politico in Italia e in altri paesi.
Ogni anno mio padre e mia madre mi accompagnavano a Bologna. Io ero piccola, c’era un festival dove si trovavano tutti gli eritrei fuggiti dalla guerra. In quei giorni a Bologna si facevano incontri e si parlava della situazione politica in Eritrea. Quest’iniziativa andò avanti fino all’indipendenza.

Da quel momento il sogno di mio padre è poter tornare almeno una volta a rivedere il suo paese e spero possa esaudire presto questo desiderio.